I resti umani possono dare straordinarie informazioni di contesti storici di epoche distanti da noi. Seppur l’uso di questi reperti come strumento analitico in archeologia diano informazioni demografiche e biologiche di una popolazione, la recente messa a punto delle tecniche di estrazione del DNA da essi, ha aperto la possibilità di indagare lo stato di benessere delle popolazioni, confrontando regioni genomiche contenenti sequenze geniche di rilevante peso sulla fisiologia e la patologia, con ripercussioni anche sullo stato psico-fisico. L’antropologia fisica e molecolare integra aspetti multidisciplinari e se associata alla paleontologia vegetale e agli studi storici dei sistemi produttivi, dei costumi e delle abitudini alimentari, fornisce importanti informazioni sul benessere e la salute umana dei soggetti nei tempi passati. L’uso finalizzato che può essere fatto dei resti osteologici diventa quindi una risorsa rilevante per descrivere caratteristiche sociali e/o demografiche delle comunità del passato. Un attento studio comparativo, inoltre, può aprire scenari che, partendo dalla caratterizzazione genetico-molecolare dei nostri antenati, individuino un percorso evolutivo fino alle condizioni psico-fisiche degli individui moderni. L’attenzione crescente per il territorio e le identità culturali, sociali ed economiche che in esso si generano, attraverso questi studi può diventare un volano che incentivi e/o inneschi processi di sviluppo economico e sociale del territorio e delle popolazioni che ivi risiedono. Le conoscenze acquisite con questi studi possono generare nuovi strumenti culturali, economici e di socialità tali da incrementare il benessere e divenire un esempio quella esportabile al di fuori dello specifico territorio.
In questo contesto, un esempio potenziale e concreto di come sia possibile fare uso di questi particolari reperti potrebbe essere quello dello studio delle regioni del DNA codificanti, ad esempio, per la serotonina e la melatonina, nonché per le proteine istoniche, le quali hanno un forte impatto sullo stato di benessere fisico e psicologico del soggetto. Lo studio inoltre dello stato di metilazione delle stesse regioni del DNA potrebbe dare un’indicazione delle esperienze fatte in vita da ciascun soggetto in studio, come ad esempio percezione di stress fisici e/o alimentare, stati patologici, eccetera, che potrebbero rilevarsi diverse tra individui appartenenti a strati sociali diversi. Il confronto con le popolazioni attualmente presenti sullo stesso territorio e il confronto con odierne popolazioni urbane potrebbero offrire la possibilità di ricostruire una mappa dell’influenza del territorio sulla stato di informazioni biologica che è insita nel DNA dei soggetti umani.
La presenza di polimorfismi genetici ed epigenetici nelle regioni del DNA interessate, presenti nei resti osteologici e nei soggetti attuali, può essere il risultato di un insieme di fattori, in parte genetici e in parte legati al contesto ambientale in cui avvenne e avviene lo sviluppo dell’individuo durante la vita. Quanto ognuna di queste due componenti sia responsabile del risultato finale è ancora da scoprire e, seppure la componente genetica potrebbe essere prevalente, la componente epigenetica si sta sempre più rivelando di estrema importanza. Quest’ultima componente potrebbe, ad esempio, risentire di una dieta fortemente ricca di proteine o particolarmente diversificata e di migliori condizioni igienico-sanitarie, e potrebbe essere registrata come una variazione misurabile nel tempo, da un’epoca all’altra, o nel confronto tra diverse comunità con differenti standard di vita. Le implicazioni sono quindi potenzialmente molto rilevanti.
Un tale approccio caratterizzerebbe ancor di più i periodi storici, e i processi culturali, economici e sociali in essi accaduti, fornendo indicatori biologici che stanno alla base dell’essere e dell’attività delle popolazioni che si sono succedute, così diventando una vera e propria banca dati per indagare le condizioni di vita delle popolazioni storiche.
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