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I frascarelli: un’antica ricetta marchigiana

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Di Mario Monachesi

È un piatto povero della tradizione contadina marchigiana. Una polenta piuttosto liquida e granulosa fatta con farina bianca. Il suo nome, infatti, deriva dall’utilizzo di rametti (frasche) bagnati, utilizzati originariamente per formare dei grumi, schizzando gocce d’acqua sulla farina.

 

 

La vergara, rientrata dai campi, li preparava in pochi minuti, sfamava così, con davvero molto poco, tutta la famiglia. Detti anche “‘ppiccicasanti” (attaccare santi), perché con la farina e l’acqua un tempo si faceva la colla, hanno tre versioni: “LI frascarelli de li puritti” (de li puveretti), fatti con sola farina di grano e acqua; “lI frascarelli de riso curgo” (coricato), vedono l’aggiunta di qualche manciata di riso; “li frascarelli de li signori”, vengono aggiunte delle palline di pasta all’uovo. “Li frascarelli de riso curgo”, detti anche “riso colco, corco, riso in polenta, erano chiamati anche “piatto de le puerpere” o “granetti delle puerpere”, perché ritenuti propiziassero abbondante produzione di latte.

 

 

A seconda della percentuale di riso aggiunto, si determinava la ricchezza della famiglia. La ricetta originale prevedeva un solo condimento, con il mosto cotto. Infatti il gastronomo, cuoco e scrittore romano Marco Gavio Apicio, vissuto a cavallo tra il I sec. a. C. e il I sec. d. C. già parlava di “pultes oenocolti”, cioè frascarelli conditi con la sapa (mosto cotto). Poi venne il sugo finto, con il solo pomodoro. Successivamente vennero aggiunti i condimenti secondo le stagioni e con il maiale durante la pista. Fino a qualche anno fa esisteva anche un detto, per indicare una persona di poco buon senso: “Fa li frascarelli dentro lu puzzu”.

 

 

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