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Colera a Pausula 1855. Breve storia delle pandemie fino al Coronavirus 2020: discordanze o concordanze?

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Rubrica: Giacimenti Culturali & Enogastronomici

 

INTERVENTO  a cura del Prof. Fabio PIERANTONI della Condotta Slow Food di Corridonia

 

PREMESSA

In questo articolo presentiamo un sunto di un libretto stampato nel 1856 sul Colera a Pausula  – oggi, e dal 1931, Corridonia e, fino al 1850, Montolmo- una piccola città del maceratese nelle Marche. L’eccezionalità di questa cronaca del contagio,  riportata dal medico condotto Marino Marini illustre professionista in prima linea, risulta dalle molte situazioni simili a quanto oggi stiamo vivendo con il famoso Coronavirus, solo che lo scritto risale a 165 anni fa. A sfatare, inoltre,  l’impressione che abbiamo nel vivere oggi le conseguenze di questa pandemia come un qualcosa di unico nella storia dell’umanità, abbiamo voluto riportare le testimonianze di altre pandemie storiche come la Peste Bubbonica, il Colera a Napoli, le prime Guerre Batteriologiche nella conquista delle Americhe ed infine la cosiddetta, vedremo anche perché, Influenza Spagnola.

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COLERA A PAUSULA: 4 LUGLIO 1855 14 AGOSTO 1855

Queste le parole del Dottor Marini:  «Il mostro sferratosi dalle rive del Gange, imperversò nell’ Europa disertando Città, Castella e Borgate, non bastevoli a frenarlo nel suo corso lagrimoso, e devastatore, varietà di climi, mutar di stagioni, providenze sanitarie, e medica valentia.  Toccherò dunque soltanto di volo gli effetti del suo fatale passaggio tra noi, e del metodo curativo per noi adottato a conquiderlo. La solita storia di umane vittime difformate, e miserande.
Il solito racconto di atti pietosi e sublimi, di efferrata insensibilità, di spensierato coraggio,  di timor di panico, d’incurante apatia.. Per ogni dove lutto, desolazione del presente; angoscia, sconforto dell’avvenire, che s’intravedeva più scuro, e scompigliato. Ed un piangere di cari trapassati, ed un’ansia affannosa di veder cadaveri viventi.  E sì che sentendoci incolumi per il volgere di quasi un anno mentre che imbizzarriva nella centrale e nelle terre circostanti, nudrivamo fidanza di uscirne illesi.

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E sì che … accennando alla favorevole postura della Città, ed all’aere elastico, purissimo, che vi si respira, esternava con pienezza di fede la speranza di sottrarci alla visita nefanda dell’asiatico morbo!  Speme ahi troppo fallace, seguita ben tosto da fatale disinganno!!  Ed ecco nel giorno 5 luglio (1855) …cadde per colera, e spirò nel breve giro di sette ore un Pacifico Canzonetta, uomo robusto di undici lustri, sventurato, e portatore di sventura. Fu come scintilla elettrica. La Colera spaziò, dominò rapidissima l’infelice città ammorbando le contrade più popolose, più sudice, più stremate dalla miseria, e si diffuse sebbene più tardi, pel vasto circondario… In fretta  in fuga adunatasi la Deputazione Sanitaria, furono emanate, e poste all’opera quelle provvisioni compatibili coll’angustia del tempo, coll’impotenza degli eventi… Si organizzò con la prontezza   umanamente possibile lo Spedale Civico ceduto al Municipio per uso dei colerici dall’ eminentissimo Cardinale De Angeli Arcivescovo e Principe di Fermo. Si approntarono letti per 50 infermi. Si provvidero biancherie, copertoti, e tutt’altro di arnesi, di stoviglie di prima necessità. Poi assistenti; poi infermieri d’ambo i sessi, seppellitori, facchini, lavandaie. A torre di ogni ruggine, ogni gara i tre Farmacisti della Città fornirono di medicine lo Spedale tre giorni per ciascuno a vicenda… Dal tre fino al tredici i casi spesseggiarono. Gli infermi occupavano per lungo e per largo le corsie… Il Magistrato sbalordito dalla novità del fatto tremendo, dalla pressa importuna delle inchieste, dalle querimonie, dalle esorbitanze del popolo sofferente, dai reclami, che affluivano d’ogni banda …, tentennava … Dava segno di buona volontà … Non baderebbe a spese, non a sacrifizi, e tenne la parola. Il nostro Governatore … diè prova d’animo saldo, di zelo, di mente illuminata. Incoraggiando i timidi coll’esporsi egli stesso, confrontando di elogi quelli, che si distinguevano … per energia di esecuzione, redarguendo con gravi parole coloro che venivano meno al proprio ufficio, castigando severamente gl’indisciplinati, i turbolenti, li schiamazzatori … La Deputazione sanitaria a seduta permanente …, decretava sussidi in vitto, vino, medicinali ai poveri, che non poteano essere trasportati allo Spedale, e statuiva fumigazioni disinfettanti … Ottanta si annoverarono gl’infermi entrati. Ventisette soli ne sortirono vivi . Cifra non del tutto soddisfacente, ma indeclinabile: deppoichè il popolo minuto. sebbene privo di ogni maniera di assistenza nelli immondi, ed infetti abiuri, fu oltremodo renitente a farvisi condurre; ed allorquando jugulati da ferrea necessità pur si risolvevano era troppo tardi, era trascorso il tempo prezioso ad agire, ad apprestare con successo i farmaci  i farmaci opportuni a tant’uopo… Arroge i colerosi trasportati da longiuque contrade del territorio, scassinati, scossi brutalmente dal rude sobbalzo di un carro, giunti al luogo di loro destino avean mestieri più presto di seppellitori, che di medici argomenti.

pandemia10L’intera famiglia Brilloni, per dirne una, madre e tre figli, pervennero dalla campagna allo spedale conci per guisa, che sfidando ogni ragione di soccorsi loro apprestati, nel volgere di poche ore tutti e quattro furono tra i più … Intanto ecco le carceri nelle quali si contavano 46 detenuti, invase anco esse e ben diciassette tra uomini e donne vennero trasportati allo Spedale. Dieci furono freddati dal morbo. Sette ne trionfarono … E per dire delle carceri, lo spavento, lo scompiglio di quella moltitudine stivata in locale non amplo, fu estremo. Con rigide prescrizioni igienico-sanitarie, coll’aver fatto murare ermeticamente le latrine quasi riboccanti, che esalavano nella casa di reclusione fetore insopportabile, fu imbrigliata la procella. Non si ebbe più un choleroso. I delinquenti a piccole condanne uscirono graziati. Alli altri fu permesso di starsi a baloccare parecchie ore del giorno nel piazzale di fronte alle carceri, onde fruissero di un aere più puro, sorvegliati soltanto da un custode, e da un secondino. A veruno cadde in mente tentare una fuga. E si che ve n’erano pur molti rotti ad ogni sfrenatezza, famosi nella carriera del delitto, e già dannati per alla galea finchè loro bastasse la vita! Tanto l’aspetto minaccevole della colera avea sbattuto sbaldanzito li spiriti paralizzandone l’energia disperata, fiaccandone il brutale coraggio! E diffuso per le contrade della città, e pel circondario, acquistò il colera gigantesche proporzioni. La moria nei giorni 9,10,11,12,13 di luglio fu tale da noverarsi giornalmente 28 in 30 cadaveri.   I medici scarseggiavano … i paesi minacciati ed invasi negavano permessi di assenza, ed esibivano grosso soldo, e larghi partiti a fisici estranei, acciò accorressero spendessero ogni loro ingegno a tutelarli, a salvarli dall’irrompente inimico. Dappoichè con lo stesso impeto col quale proruppe nel giorno tre luglio, retrocesse come per incanto nel quattordici agosto. Il Municipio per altro a premura, ed ordinanza della Deputazione Sanitaria proseguì altre settimane a far distribuire una minestra giornaliera di riso con carne indistintamente a tutta la poveraglia.

pandemia09Ordine di cose filantropiche, e laudabile del pari … Tornati all’ordinario regime … solo in via di precauzione rimasero al posto li addetti alle porte onde praticar suffumigi su i passaggieri. … conciossiache io non serbi alcuna fede alla fumigazione del Marveau, che risultando di una massa infinitamente più esigua in rapporto all’aere infetto, che si vuole depurare, potranno giammai sbarazzarla, ridurla a condizioni di non ingenerar morbi contagiosi a cui tocchi il triste destino di respirarla. Più: non essendo fino ad oggi dato a noi penetrare in che consista l’intima natura della colera, potremmo nemmeno assegnarne lo specifico a neutralizzarla?  … E come antivenire li assalti del morbo … o attenuarli..? Decretate larghe distribuzioni a poverelli di vitto nutritivo con ragionevole dose di vino. Ecco il segreto. Mondizie nelle strade, nelle case, nelle persone, volger le terga ai disordini di qualunque colore, e le bisogna volgeranno per lo meglio senza profondere in affumicare individui, animali e muraglie somme vistose, che potrebbero e dovrebbero essere impiegate a scopo più retto, e razionale.. Io non intendo ingolfarmi …in discussioni, se il colera sia contagioso , od epidemico, ovvero epidemico-contagioso, o né l’uno o né l’altro … A riassumere , trecentosettantanove, tra Città e contado furono i meschini attaccati da colera … dei 379, centosettatadue guarirono, e duecentocinque (la più parte donne, e fanciulli) riposano nell’augusta magione. … E qui depongo la penna. E qui non vuò defraudare delli elogi dovuti la docilità l’obbedienza del Popolo Pausolano alle mediche prescrizioni, pegno di fiducia commendevolissimo, e soave compenso alle durate fatiche. E qui giova ripetere elogio al Clero, le Corporazioni religiose, emergendo tra queste i Minori Conventuali… Carità, zelo, annegazione che posti di fronte al terribile nemico indiano non retrocessero, impartendo alla sconsolata popolazione quella calma, quel conforto, che la religione de’ nostri padri soltanto può donarci nelle supreme sventure.»

Esiste anche la testimonianza raccolta da P.P.Bartolazzi nel suo testo Montolmo (oggi città di Pausula) che riportiamo fedelmente: « Eguale smarrimento di consiglio vedemmo a’ tempi nostri anche in persone le più animose ed esperte quando nel luglio del 1855il colera piombò improvviso sul nostro paese e portò via presso a 400 cittadini Sulle prime non trovavasi chi prestar volesse l’opera sua per assistere gl’infermi, e interrare i cadaveri. Si dovette ricorrere alla forza; nessuno per’altro morì senza i conforti religiosi. Il giorno 23, fatto dal Municipio un Voto decennale, il morbo si dileguò, né affacciossi mai più, quantunque in fine del decennio tornasse a mieter numerose vittime nelle vicine Macerata e Morrovalle. »

 

IL COLERA DI NAPOLI

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Il colera ha iniziato la sua marcia di conquista in India nel 1817, come morbo endemico del basso Gange, ed è diventato il “morbo della rivoluzione commerciale” e della colonizzazione (10 mila morti tra le truppe britanniche). Mercanti inglesi e le prime navi a vapore hanno sparso il Vibro cholerae prima in Asia, poi in Russia. Da qui si arriva tramite Danzica in Germania, in Francia con tassi di letalità attorno al 70%. Città che vivono di commerci come Venezia, Livorno e Genova esitano ad intervenire per non danneggiare i traffici a vantaggio della concorrenza. Nell’agosto del 1835 quando l’epidemia sta devastando il Regno di Sardegna di Carlo Alberto, il governo dei Borboni nel Regno delle Due Sicilie inizia ad adottare misure per evitare l’esplosione della malattia: viene predisposto un cordone sanitario al confine nord con lo Stato Pontificio, si impone la quarantena alle navi provenienti da zone a rischio.
La città è una delle più popolate d’Europa con 357 mila abitanti ma soprattutto la maggiore per densità di popolazione per chilometro quadrato, con acquedotti e una rete fognaria del Seicento con perdita nelle falde potabili e infiltrazioni dai pozzi neri non collegati alla rete stessa. Infatti il blocco del confine terrestre non basta; la malattia entra in città dall’ingresso più ovvio, il porto e all’inizio è accolto con il solito atteggiamento negazionista-minimalista anche perché i morti sono soprattutto fra i ceti popolari, e non è una sorpresa, visto come vivono. La responsabilità del contagio è attribuita alla spazzatura, alla scarsa circolazione dell’aria fra i vicoli dei Quartieri spagnoli  quindi i benestanti pensavano, illudendosi, di non correre rischi. I medici che scoprirono il vibrione intuiscono che il veicolo principale è l’acqua contaminata dalle feci. In effetti il colera, come le pestilenze del Trecento e del Seicento, inizia la sua corsa fra i “bassi” abitati dal popolo ma non si fermerà di fronte ai palazzi dei magnati che anzi saranno i più colpiti nella seconda durissima fase del contagio, la cosiddetta ricaduta. Si pensa che le condizioni igieniche della città bassa avessero fortificato alla lunga chi riusciva a sopravvivere alla mortalità infantile altissima, per aver creato gli anticorpi al virus; inoltre le difficoltà dei due acquedotti a rifornire le zone alte di Napoli come Posillipo, Capodimonte, Vomero già allora preferite dalle classi superiori, costringeva a rifornirsi dai pozzi privati ancor più a rischio oppure al trasporto da parte di acquaroli. Le istituzioni organizzarono sette ospedali, i funerali vennero ammessi solo di notte e lo Stato organizzò panifici a prezzi calmierati per evitare la carestia. A ottobre del 1837 il peggio sembra passato ma non per molto. Napoli conoscerà altre quattro epidemie di colera nell’Ottocento: 1854-55, 1865, 1873 e 1884. Comunque il focolaio del 1836-37 fu quello che per le mortalità raggiunse i livelli delle grandi pestilenze del Trecento e del Seicento con tassi di letalità (il rapporto percentuale tra morti e ammalati) oscillanti tra il 55% e il 65%. A Napoli in tempi recenti, 1973, si è ripresentata l’epidemia con 24 morti imputando i frutti di mare pescati in un Golfo avvelenato dagli scarichi. Oggi il colera è tornato ad essere una malattia per poveri; ci si ammala nelle zone meno sviluppate del mondo, spesso in guerra, con decine di migliaia di morti all’anno.

 

LA PESTE COME PANDEMIA STORICA

Un tempo la peste era una delle malattie più temute al mondo. Una malattia in grado di spazzare via centinaia di milioni di persone in una pandemia globale apparentemente inarrestabile che affliggeva le sue vittime con dolorosi linfonodi ingrossati, pelle annerita, e altri macabri sintomi.

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Nell’Europa del XVII secolo i medici che si prendevano cura delle vittime indossavano un abito che da allora ha assunto connotazioni sinistre: si vestivano dalla testa ai piedi e indossavano una maschera con un lungo becco d’uccello. La ragione dietro a queste maschere anti-peste a becco era dovuta all’errata convinzione sulla reale natura della malattia. Durante quel periodo di focolai di peste bubbonica – una pandemia che si ripresentò in Europa per diversi secoli – le città agguantate dalla malattia assumevano medici per la peste che praticavano a residenti ricchi e poveri quella che loro facevano passare per “medicina”. Questi esperti di scienza prescrivevano quelle che erano ritenute invenzioni protettive e antidoti alla peste, erano testimoni dei desideri dei malati e svolgevano le autopsie sui cadaveri – e alcuni facevano tutto questo indossando delle maschere con il becco. Nulla allora si sapeva di virus e batteri, né si avevano farmaci e nessuno immaginava che la peste alloggiasse nelle pulci dei topi, anche se non si tardò a cogliere il nesso tra contagio e igiene. pandemia03Si curava il corpo in base all’antica teoria galenica degli umori, i cui scompensi erano ritenuti causa delle malattie e di cui occorreva quindi ristabilire l’equilibrio, con salassi e purganti. Ma se non altro si imparò che il male si diffondeva con il contagio, con il contatto diretto tra uomini animali e cose, e che gli unici rimedi per contrastarlo erano la reclusione degli appestati nei Lazzaretti, il rogo di merci ritenute contaminate, l’isolamento dei sospetti e dei guariti in quarantena. Si delineava così un atteggiamento  razionale nei confronti del morbo, basato sull’esperienza (come insegnava negli stessi anni Galileo) e si affacciava l’esigenza di una normativa pubblica anche i  materia sanitaria; fu anche intorno alla peste insomma che si vennero organizzando e rafforzando le strutture amministrative dello Stato moderno. Di qui anche l’inevitabile conflitto con la Chiesa, convinta che si trattava di una meritata punizione divina per i peccati degli uomini (è quanto afferma oggi l’ultradestra cattolica statunitense del Covid-19 causata dai cedimenti di Papa Francesco sulla comunione dei divorziati, omosessuali, dialogo interreligioso. Una punizione cui si sarebbero potuti sottrarre solo con la preghiera, la penitenza e soprattutto le processioni, che reclutando tante persone erano occasione di diffusione del morbo, come in effetti avvenne. Fu dunque dallo scontro tra Stato e Chiesa, tra commissari alla sanità e parroci, tra appestati e monatti, tra medici allo sbaraglio e sbirri, tra marinai e mercanti insofferenti della quarantena e del sequestro delle merci, tra processioni illegali (come documenta lo storico Carlo Maria Cipolla, promosse dai preti desiderosi soprattutto di fare soldi con “una gran colletta e poi se  li crapulano in laute cene”), che cominciò ad affacciarsi un nuovo mondo destinato a diventare sempre meno dipendente dalle malattie; a differenza probabilmente di quello che invece ci aspetta dopo la terribile pandemia che stiamo vivendo. Tre orribili pandemie di massa si sono diffuse attraverso il globo prima che la loro causa venisse infine scoperta – la Peste di Giustiniano, che nel 561 A.D. uccise fino a 10.000 persone al giorno; la Peste Nera, che uccise un terzo degli europei tra il 1334 e il 1372 e continuò con scoppi intermittenti fino al 1879; e la terza pandemia, che colpì buona parte dell’Asia tra il 1894 e il 1959.

A Montolmo ecco la descrizione che ne fa P.P.Bartolazzi (già citato anche nel colera): «Ma una delle più gravi calamità che travagliò in questo secolo Montolmo col resto della Marca e gran parte dell’Italia fu senza dubbio la peste….. Dai Consigli …. del 6 luglio 1476 è chiaro che la peste in quell’anno mieteva vittime…..  fiera inondazione del Tevere cagionata dalle strabocchevoli piogge aveva allagato molta parte di Roma con pregiudizio gravissimo degli abitanti…. il contagioso morbo fece strage … del popolo romano, si dilatò nella Marca e invase il nostro paese….. furono designati otto Confratelli per interrare i morti senza alcun suono di campane… Si nominarono tre deputati per i necessari provvedimenti, e altri messi alla custodia delle 5 porte. Gaspare medico della Comunità, atterrito dal morbo si ricusò di prestare il suo servizio. Fu quindi chiamato altro medico…. vi fu aggiunto un chirurgo per applicare coppette ventose o a taglio, con obbligo di trar sangue a tutti gli infermi….. A capo dei seppellitori fu scelto un certo Firmano di Morrovalle. Si ricorse in tale circostanza, come sempre, all’aiuto divino con diverse risoluzioni prese a unanimi voti…. Alla peste si aggiunse il flagello delle locuste o cavallette che a guisa di nuvole sterminatrici coprirono le ridenti campagne della Marca e nulla lasciarono intatto….. e se ne fece grandissima strage, ma con poco giovamento, onde ne seguì la fame, e rincrudì la pestilenza.»  Poi lo stesso autore descrive una nuova fiammata della stessa pandemia di un secolo dopo: « Dopo … le altre calamità, quella che spinse a fondo le rovinate condizioni del nostro paese sembra sia stata la fame e susseguente pestilenza che nel 1595 lo desolò insieme al resto dell’Italia….. La scarsezza e la mala qualità dei cibi cagionò una perniciosa epidemia. La gente veniva sorpresa da alcune febbri e da deliqui, e la massima parte vi lasciava la vita. Venne a mancare i lavoratori dei terreni, onde la penuria continuò più oltre, e il malore crebbe a dismisura…. Correva il mese di Giugno, ed essendo imminente la festa dei Santi Protettori fu deciso di celebrarla con solite processioni, e preghiera ma …. proibita ogni dimostrazione di pubblica allegrezza. Soltanto furono ammessi i trombetti, ed altri suonatori,  forse con la mira di mitigare il generale spavento e tristezza. …. Tutta la popolazione di Montolmo era ridotta dopo tale mortalità a famiglie 638, e anime 2452. »pandemia04

Cos’è la Colonna Infame? È letteralmente una “colonna” eretta sulle macerie della casa di Gian Giacomo Mora, accusato con Guglielmo Piazza nel 1630 di essere gli untori della peste nera di Milano. La colonna affermava in breve che sulle macerie di quella casa non si doveva più erigere una nuova casa. Manzoni racconta che quella caccia alle streghe partì da Caterina Rosa, una popolana che accusò Mora e Piazza, i quali vennero torturati per un mese affrontando un processo assolutamente privo di qualunque buon senso o scrupolo. Ai due condannati fu mozzata la mano destra e furono spezzate le ossa a suon di bastonate. Per essere sottoposti alla “tortura della ruota”, i due vennero esposti al pubblico per sei ore, agonizzanti, dopo le quali gli fu tagliata la gola e i loro corpi dati alle fiamme.  Un processo – stavolta mediatico, sui social – nel caso del coronavirus, altrettanto ingiusto e orrendo è avvenuto a quattro secoli di distanza dall’originale Colonna Infame (divenuta ormai un modo di dire per indicare un “marchio di disprezzo”).

La prima parte di questo 2020 è stato scandito dapprima da un diffuso razzismo verso i cinesi, le loro attività e la loro cucina. Passata la patata bollente dell’emergenza al Lombardo-Veneto, la psicosi si è tramutata nella paura del settentrionale – sul piano nazionale – e dell’italiano, sulla scala globale. L’Italia, divenuta fra i primissimi paesi al mondo per numero di casi di contagio, ha ricevuto “(aero)porti chiusi” da oltre una dozzina di paesi nel mondo. L’ironia del fato, a volte, fa davvero male. Nel saggio di Manzoni si leggeva una condanna e una condotta che non ci siamo mai tolti di dosso: «il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni».

 

Il VAIOLO ALLA CONQUISTA DELLE AMERICHE

La conquista delle Americhe è la più grande guerra batteriologica della storia. Dal secondo viaggio di Cristoforo Colombo (1493), gli europei portarono nel Nuovo Mondo una lista di morbi infinita: vaiolo, morbillo, peste, influenza, salmonella, scarlattina, varicella.

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Il saldo dei morti dopo mezzo secolo è altissimo. Da una popolazione stimata fra i 15 e 25 milioni, esclusa l’America meridionale, nel 1550 i sopravvissuti sono tre milioni. I primi a cadere sono gli indigeni del Caribe, dove sbarcarono le tre caravelle. Gli altri seguirono la stessa sorte lungo il cammino da nord a sud degli spagnoli. Gli imperi Aztechi, Maya, Inca crolleranno più per le epidemie che per i cannoni di bronzo e le lotte interne. Per spiegare l’enorme letalità delle malattie europee sugli americani gli epidemiologi concordano su una sorta di verginità immunologica dei popoli cosiddetti indigeni. In particolare la vicinanza con animali domestici era sostanzialmente sconosciuta nel Nuovo Mondo dove l’allevamento non era praticato e gli animali erano lasciati al pascolo libero. Non solo esistevano meno possibilità per la zoonosi, il passaggio di specie di virus e batteri, ma gli americani adulti non avevano avuto la possibilità di immunizzarsi contraendo malattie come il morbillo in età infantile, cosa che accadeva agli europei. Altre malattie che derivano dal contatto con gli animali sono la peste (insetti, ratti), lo stesso morbillo (cani), l’influenza (maiali o uccelli) fino all’HIV (scimmie) e al Cov-Sars-2 (pipistrelli). Solo qualche anno fa gli esami condotti sui resti nei cimiteri hanno consentito di chiarire la natura del contagio. Non è invece certo che sia di origine americana la sifilide ed infatti pochi giorni prima che Cortes partisse per conquistare il Messico, il 6 aprile 1520 muore il marchigiano urbinate Raffaello Sanzio, probabilmente di sifilide che circolava in Europa almeno da un paio di decenni e si diceva fosse stata portata a Napoli dai francesi.

Per trovare una cura al flagello del vaiolo bisogna aspettare secoli. La malattia è stata eradicata solo nel secolo scorso con vaccinazioni di massa.

 

L’INFLUENZA SPAGNOLA

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Conosciuta – impropriamente – con il nome di influenza spagnola, o semplicemente Spagnola, questa epidemia si diffuse con velocità sorprendente in tutto il mondo, mettendo in ginocchio pure l’India e arrivando fino all’Australia e alle remote isole del Pacifico. In soli 18 mesi l’influenza contagiò almeno un terzo della popolazione mondiale. Le stime sul numero dei morti variano enormemente, da 20 a 50 o addirittura 100 milioni di vittime. Se la cifra più alta fosse attendibile, la pandemia del 1918 avrebbe ucciso più persone di quante ne abbiano uccise, insieme, le due guerre mondiali. Le influenze sono causate da diversi tipi di virus strettamente imparentati, ma una forma in particolare (il tipo A) è legata a epidemie letali. La pandemia del 1918-19 fu causata da un virus influenzale di questo tipo, chiamato H1N1. Nonostante sia diventato famosa con il nome di influenza spagnola, i primi casi furono registrati negli Stati Uniti, durante l’ultimo anno della Prima guerra mondiale. Nel marzo del 1918 gli Stati Uniti erano in guerra con la Germania e gli imperi centrali da undici mesi. pandemia07Mentre l’intera nazione si mobilitava per il conflitto, le postazioni fortificate sul suolo statunitense conobbero una massiccia espansione. Una di queste era Fort Riley, nel Kansas, dove, per accogliere parte dei 50mila uomini che sarebbero stati arruolati nell’esercito, fu costruito un nuovo campo di addestramento: Camp Funston. Fu lì che, il 4 marzo, un soldato si presentò febbricitante in infermeriaNel giro di poche ore più di un centinaio di suoi commilitoni mostrarono i sintomi della stessa patologia, e altri ancora si sarebbero ammalati nelle settimane seguenti. Nel mese di aprile le truppe statunitensi arrivarono in Europa, portando con sé il virus. Era la prima ondata della pandemia. L’influenza uccideva le sue vittime con una rapidità incredibile. Negli Stati Uniti abbondavano le storie su persone che si svegliavano malate e morivano lungo il tragitto per andare al lavoro. I sintomi erano raccapriccianti: i pazienti presentavano febbre e difficoltà a respirareA causa della carenza di ossigeno, i loro volti assumevano un colorito bluastro. L’emorragia riempiva i polmoni di sangue, provocando vomito e sanguinamento dal naso e facendo alla fine soffocare le persone nei propri fluidi. Come già tantissime altre forme influenzali prima di lei, la Spagnola colpiva non solo le persone molto giovani e molto vecchie, ma anche adulti sani tra i 20 e i 40 anni. Il fattore principale nella diffusione del virus fu, naturalmente, il conflitto internazionale, giunto all’epoca alle sue fasi finali. Gli epidemiologi discutono ancora oggi delle sue origini esatte, ma in molti concordano nel dire che sia stato il risultato di una mutazione genetica, forse avvenuta in Cina. È chiaro, in ogni caso, che questa nuova forma influenzale si diffuse a livello globale grazie al massiccio e rapido movimento di truppe nel mondo. La drammaticità del conflitto finì inoltre per mascherare i tassi di mortalità insolitamente elevati del nuovo virus. All’inizio la malattia non veniva ben compresa e i decessi erano spesso attribuiti alla polmonite. La rigida censura del tempo di guerra impediva alla stampa europea e nordamericana di dare notizia delle epidemie. Solo nella neutrale Spagna i giornali poterono parlare liberamente di ciò che stava accadendo, e fu dalla copertura che ne diedero i media in quel Paese che la malattia prese il suo soprannome. Le trincee e gli accampamenti sovraffollati della Prima guerra mondiale diventarono terreno fertile per la malattia. Quando le truppe si spostavano, il contagio viaggiava insieme a loro. Apparsa per la prima volta in Kansas, l’influenza calò di intensità nel giro di qualche settimana, ma si trattava di una tregua temporanea. Nel settembre 1918 l’epidemia era pronta a entrare nella sua fase più letale. È stato calcolato che le 13 settimane tra settembre e dicembre 1918 costituirono il periodo più intenso, con il maggior tributo di vite. In Italia la fase più aggressiva si verificò tra luglio e ottobre di quell’anno, quando si ammalarono anche tremila persone al giorno. Pure stavolta, fu negli affollati accampamenti militari che la seconda ondata attecchì inizialmente. Quando la crisi raggiunse il culmine, i servizi sanitari cominciarono a non farcela più. Impresari funebri e becchini erano in difficoltà e fare funerali individuali divenne impossibile. Molti dei morti finirono in fosse comuni. La fine del 1918 portò un intervallo nella diffusione del virus, e il gennaio 1919 vide l’inizio della terza e ultima fase. Ormai la malattia era decisamente meno violenta: la ferocia dell’autunno e dell’inverno dell’anno prima non si ripeté e calò il tasso di mortalità. Ma l’ondata finale riuscì comunque a causare danni considerevoli. L’Australia, che aveva immediatamente imposto l’obbligo della quarantena, riuscì a sfuggire agli effetti più virulenti fino all’inizio del 1919, quando la malattia arrivò anche lì, causando la morte di diverse migliaia di persone. Si ebbero casi di decessi per influenza (forse una forma diversa) fino al 1920, ma nell’estate del 1919 le politiche sanitarie e la naturale mutazione genetica del virus misero fine all’epidemia. Tuttavia, per chi aveva perso persone care o riportato complicanze a lungo termine, i suoi effetti si sarebbero fatti sentire per decenni. La pandemia non risparmiò praticamente alcuna parte del mondo. In Italia, secondo l’Istituto centrale di statistica, solo nel 1918 morirono circa 300mila persone. In Gran Bretagna morirono 228mila persone; negli Stati Uniti circa mezzo milione; in Giappone 400mila. Le Samoa Occidentali (oggi Samoa), nel Pacifico Meridionale, persero il 23,6 per cento della popolazione. I ricercatori stimano che, nella sola India, le morti abbiano raggiunto una cifra tra i 12 e i 17 milioni. I dati sul numero dei decessi sono vaghi, ma in generale si calcola che la mortalità sia stata tra il dieci e il venti per cento dei contagiati.

Grazie ai medicinali e a una migliorata igiene pubblica – oltre alla presenza di istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità –, la comunità internazionale si trova oggi molto avvantaggiata di fronte alla minaccia di una nuova epidemia. Gli scienziati, comunque, sanno che una mutazione letale potrebbe avvenire in qualsiasi momento: a un secolo di distanza dalla madre di tutte le pandemie, i suoi effetti su un mondo affollato e interconnesso sarebbero devastanti. Questo si scriveva, prima del Coronavirus!

Sarebbe troppo lungo a questo punto disquisire sul dubbio del titolo, non perché non ci siano elementi anzi proprio perché ce ne sono troppi: comunque lasciamo ai nostri lettori l’ardua sentenza.

 

Bibliografia:

– Bartolazzi, P.P., 1887, Montolmo (oggi città di Pausula). Sua origine incrementi e decadenza nel Medio Evo e nel Cinquecento, Tipografia Success. Crocetti, Pausula;

Cipolla, Carlo Maria, 1986, Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, Editrice Il Mulino, Bologna;

Marini, Marino, 1856, Del Colera che ha dominato nella città di Pausula dal giorno 3 Luglio al 14 Agosto del 1855, Tipografia di Giovanni Lana, Fano.

 

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